La crisi francese e il bivio di Macron: tra orgoglio presidenziale e logoramento istituzionale

La Francia si trova sull’orlo di un nuovo scossone politico, e al centro della scena c’è ancora una volta il presidente Emmanuel Macron. Con il suo governo in bilico, un primo ministro dimissionario, partiti frammentati e alleati sempre più lontani, Macron dovrà annunciare quale sarà il prossimo passo per uscire dall’impasse. Le opzioni in campo sono tutte spinose: un nuovo premier (il sesto in poco più di un anno), elezioni legislative anticipate o, scelta finora esclusa, le dimissioni dalla presidenza.

Martedì l’ex primo ministro Edouard Philippe ha sorpreso molti evocando pubblicamente l’ipotesi delle dimissioni presidenziali, un tabù fino a ieri anche tra i centristi. “Macron dovrebbe considerare il passo indietro, dopo l’approvazione della legge di bilancio”, ha dichiarato Philippe, segno che la crisi ha ormai travolto anche l’area più moderata e vicina all’Eliseo. L’isolamento del presidente è ormai evidente: lo dimostrano anche le parole dure di Gabriel Attal e di Élisabeth Borne, due figure di punta del suo stesso schieramento.

Una crisi che viene da lontano

La radice del problema risiede in un sistema politico che non regge più la frammentazione del presente. Macron ha indetto elezioni anticipate nella primavera del 2024 per cercare una maggioranza, ma il risultato è stato una paralisi peggiore: tre blocchi inconciliabili (centro, sinistra e destra radicale), nessuno in grado di governare.

Da allora l’Eliseo ha bruciato premier su premier in una girandola di governi tecnici e deboli, incapaci di costruire alleanze. L’ultimo, quello di Sébastien Lecornu, non è nemmeno partito: è durato meno di una giornata. E ora Macron non ha più nomi da pescare nel proprio cerchio magico.

Macron, il controllo e il paradosso della forza

Molti dentro il suo partito lo accusano di voler gestire il potere da solo, di aver rifiutato ogni compromesso con le opposizioni e persino con gli alleati. Una presidenza iper-presidenziale, che però si scontra con un Parlamento frammentato e ribelle. In questo scenario, la tentazione del voto anticipato resta, ma rischia di rafforzare ulteriormente le opposizioni, in particolare il Rassemblement National di Marine Le Pen.

L’alternativa? Un governo guidato da un socialista, sostenuto esternamente dai centristi, che potrebbe tentare di rivedere la contestatissima riforma delle pensioni. Un azzardo, certo, ma forse l’unico modo per ricucire un minimo di consenso.

La Quinta Repubblica in affanno

La crisi attuale non riguarda solo Macron, ma l’intero impianto costituzionale della Quinta Repubblica. Disegnata nel 1958 per reggere un sistema bipolare, oggi appare anacronistica. Il meccanismo della “coabitazione” – dove il presidente convive con un premier di segno opposto – funzionava finché esistevano due grandi blocchi. Ma oggi, con almeno tre poli principali e molti altri frammenti, nessuna maggioranza è più possibile senza un compromesso preventivo.

Dimettersi significherebbe forse dare un segnale forte, ma anche indebolire strutturalmente il ruolo del capo dello Stato nel futuro. E in questo, Macron ha perfettamente ragione a frenare. Tuttavia, restare immobili potrebbe portare a una lenta e inesorabile erosione della legittimità istituzionale.

Una scelta tra orgoglio e responsabilità

Qualunque sarà la decisione annunciata da Macron nelle prossime ore, essa non dovrà solo risolvere una crisi politica. Dovrà rispondere a una domanda più profonda: che tipo di leadership serve alla Francia in questo momento storico? Una leadership che ascolta e cerca compromessi, o una che resiste nel nome della coerenza e dell’autorità? Tra questi due estremi, si gioca il futuro dell’Eliseo – e forse anche dell’intera architettura politica francese.

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